Nei mesi scorsi i Paesi aderenti all’Opec hanno raggiunto un difficile accorda sulla riduzione di produzione del petrolio. A questo si è aggregata anche la Russia, un importante produttore mondiale, portando nel complessivo la produzione al di sotto dei 32 milioni di barili al giorno. Obiettivo della decisione era l’aumento del prezzo che avrebbe portato, nel bilancio ridotta produzione/incassi, ad un positivo.
Alcuni analisti avevano messo in luce che era una manovra rischiosa perché, soprattutto in relazione all’eventuale vittoria di Trump alle elezioni, certamente l’America avrebbe cominciato a pompare petrolio a ritmo serrato e così è accaduto e sta accadendo: L’America sta estraendo a pieno ritmo, anche dalle rocce bituminose con processi che lo rendono competitivo e questo mette in profonda crisi i Paesi Opec che hanno ridotto la produzione ma che affrontano un prezzo di parecchio inferiore a quello sperato. Arriva in queste ore l’annuncio della Russia della decisione di incrementare nuovamente l’attività estrattiva, staccandosi dall’accordo congiunto con l’Opec.
Quest’ultima che può fare? Se aumenta la produzione abbasserà ulteriormente i prezzi del greggio e ci perderà, se mantiene i livelli attuali avrà guadagni limitati, se riduce ulteriormente non potrà contrastare l’incremento di produzione di America e Russia e ci perderà comunque. I Paesi arabi sono in un cul de sac in una situazione in cui comunque avranno perdite e nulla possono fare. In questo consesso si inserisce anche il Venezuela, importante produttore di petrolio che chiede aiuti ai Paesi produttori minacciando, in caso contrario, l’uscita dall’organizzazione dei produttori dando un ulteriore colpo ai Paesi arabi. Gli sceicchi tremano.