Nonostante si riaprino i lavori della Conferenza Unificata, non ci si può esimere dal pensare quanta poca fiducia sia presente negli animi di coloro che ancora amano il mondo del gioco pubblico ed i casino italiani, relativamente alla definizione di questo “benedetto” accordo per arrivare alla riforma del settore gioco. Troppe contraddizioni e troppa incoerenza “vagolano” nelle menti di tutti i partecipanti per sperare che, seppur dopo un lungo anno di “tira e molla”, si arrivi ad una definizione dell’accordo. Non si riescono a trovare le parole per “sunteggiare” ciò che sta accadendo nel mondo-gioco, si riesce solo a porsi una domanda: ma a chi può davvero interessare questa situazione di stallo?
Se si sapesse rispondere, il “gioco sarebbe fatto”, ma purtroppo non è così e si è costretti soltanto a fare qualche considerazione o qualche riflessione sulla tematica anche se di parole ne sono state già dette veramente tante: sono i fatti che mancano, ancora, dopo tanto tempo di proposte e di rifiuti, di promesse e di mancanze. Certamente, ciò che si “aggira” attorno al gioco pubblico è un malcostume politico “importante” che non si riesce a comprendere se non pensando solamente e semplicemente che lo Stato non riesce a trovare “una strada”, quella giusta, per sollecitare l’accordo con le Regioni e gli Enti Locali.
Nessuno vuole rinunciare ad alcunché e questo rappresenta la cosa primaria attorno alla quale sta ruotando tutto il resto della “trattativa”: e poi non si può fare a meno di far ritornare la mente al concetto di riorganizzazione dell’offerta del prodotto gioco già introdotta dal famoso Decreto Balduzzi e che avrebbe dovuto definirsi, guardando ciò che la legge aveva disposto, entro il 30 aprile 2013. Ben quattro anni fa, quindi. Quando, molto probabilmente i problemi non erano così “pressanti” come oggi, la distribuzione così “presente” sull’intero territorio ed ancora si parlava poco di luoghi sensibili, di distanziometri e di orari di funzionamento.
Oggi, dopo un quadriennio dove sono usciti nuovi casino online, tutto è più complicato e non solo: oggi si sono acquisiti dei “diritti” in capo alle Regioni ed alle Amministrazioni Comunali che consentono loro di avere potere “di vita e di morte” sulle attività ludiche… e questo onestamente ed obbiettivamente, non è affatto una cosa buona e giusta. La situazione del gioco è precipitata e questo non vale purtroppo solo per l’industria, che probabilmente ne fa le spese maggiori per la sua organizzazione e per i suoi investimenti, ma anche per tutti i soggetti che gravitano attorno al sistema gioco e non sono pochi.
A nulla è valso dire che il gioco “è una riserva di Stato” e come tale va protetto e tutelato: oggi, dopo tanto intervenire da parte delle Regioni e dei Comuni a tutela dei territori, gli stessi Comuni vacillano perché si trovano ad emettere ordinanze restrittive alle quali gli operatori di gioco si oppongono, presentando ricorsi ai vari Tar della Penisola che, recentemente, stanno considerando queste “ordinanze restrittive” improprie, sproporzionate e quasi un “abuso di potere”. Oppure addirittura ci si trova a fronteggiare situazioni come quelle che attengono la Regione Liguria che “si è rimangiata” le sue norme per non vedere il territorio scivolare in un baratro di negatività economiche e sociali. Ma tutto questo bailamme a chi giova? Domanda che ci si continua a ripetere ed alla quale non si riesce ancora a dare una reale risposta.